a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
Con particolare riferimento al requisito sub a), per escludere la soggezione al fallimento, l'attivo patrimoniale non deve essere di ammontare complessivo annuo superiore ad euro 300.000, relativamente a ciascuno dei tre esercizi antecedenti il deposito dell'istanza di fallimento.
La locuzione "tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento" - che ha sostituito l'espressione "ultimi tre anni" in forza della "Manovra correttiva" - deve essere interpretata nel senso che devono essere presi in considerazione i tre esercizi precedenti già conclusi prima dell'anno di presentazione dell'istanza di fallimento.
Ciò significa che il riferimento è a ciascun anno intero senza che assumano rilievo specifici eventi, che in un dato momento dell'esercizio possono essere fuori dai parametri.
Più precisamente, con il termine "ammontare", il legislatore ha voluto fare riferimento al dato "contabile", rinvenibile quindi dal bilancio d'esercizio.
In primis, dalla lettura della norma, è chiaro che l'intento del legislatore non è quello di calcolare il requisito patrimoniale sulla base dell'esercizio in cui la società ha realizzato qualsivoglia tipologia di attivo - siano essi crediti o investimenti patrimoniali - bensì di avere iscritto a bilancio un importo superiore al limite posto dalla legge, riferendosi, pertanto, all'intero patrimonio dell'impresa.
In particolare, in merito alla consistenza ed alla composizione dell'attivo patrimoniale, recente giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 22146 del 29 ottobre 2010) ha chiarito alcuni aspetti relativamente ai criteri di valutazione da adottare per le poste dell'attivo, stabilendo che il criterio di valutazione delle immobilizzazioni materiali deve essere il costo storico (al netto degli ammortamenti) e non il valore di mercato, lasciando quindi intendere che non rileva, ai fini del rispetto del requisito patrimoniale, il momento di iscrizione delle poste di bilancio, bensì la loro valutazione "attuale".
La norma è chiara anche per quanto riguarda il requisito sub b) - per il quale si può seguire lo stesso ragionamento di cui sopra - , in virtù del quale, per non essere assoggettato a fallimento, l'imprenditore non deve aver realizzato ricavi lordi - realizzati "in qualunque modo risulti" - superiori ad euro 200.000 per ciascuno dei tre gli esercizi precedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento, congiuntamente al rispetto delle soglie stabilite dai punti sub a) e sub c).
Naturalmente, con riferimento ai ricavi, il legislatore individua una soglia minima, superata la quale l'impresa si intende fallibile, determinabile anche in maniera extra contabile; ad esempio allorquando la soglia dei 200.000 euro sia raggiunta e/o superata in conseguenza di maggiori ricavi derivanti da accertamenti fiscali, quindi non "desumibili" dal bilancio d'esercizio e valorizzati in sede di istruttoria pre fallimentare.
Contabilità ordinaria e semplificata.
D’altra parte, a sottolineare l’autonomia della disciplina fiscale rispetto a quella civilistica, sta anche la consolidata lettura per cui il richiamo ai libri previsti dalla legge, si riferisce agli obblighi regolati dall’art. 2214 cod. civ. e non alle scritture contabili previste dalle leggi fiscali.”
Tuttavia, l’art. 216 delle Legge Fallimentare recita
“E’ punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore che: 1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni […]; 2) ha sottratto, distrutto, o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari […]”.
Perciò, si desume che il reato è ascrivibile sono in caso di fallimento dell’impresa e quindi, laddove si dovesse ravvisare almeno uno dei seguenti parametri di fallibilità
(art. 1 Legge Fallimentare):
1) media attivo patrimoniale ultimi tre esercizi: superiore ai 300.000 euro;
2) media ricavi lordi ultimi tre esercizi: superiori ai 200.000 euro;
3) totale medio dei debiti (anche non scaduti) ultimi tre esercizi: superiore ai 500.000 euro.
Dunque, il reato di bancarotta fraudolenta non può essere attivato nel caso di impresa non fallibile.
E quindi, può continuare ad utilizzare la contabilità semplificata fermo restando il monitoraggio delle suddette soglie di fallibilità.
E’ sufficiente prevedere il superamento di una di esse per attivare il regime fiscale della contabilità ordinaria.
Il problema è che l’onere della prova in ordine alla sussistenza o meno dei requisiti di fallibilità di cui all'articolo 1, comma 2, legge fallimentare deve essere assolto mediante la produzione dei libri contabili che l'imprenditore commerciale è obbligato a tenere secondo quanto prescritto dagli articoli 2214 e seguenti c.c., ai quali soltanto la legge attribuisce un particolare valore probatorio, autorizzando il giudice a trarre da essi elementi di prova anche a favore dell'imprenditore.
Quindi di fatto è necessario avere per i tre anni precedenti la contabilità ordinaria per poter PROVARE di non essere fallibile.
Fallimento - Dichiarazione - Requisiti di fallibilità - Onere della prova - Produzione dei libri contabili obbligatori - Imprese individuali e società di persone non tenute alla redazione del bilancio - Produzione di documentazione equivalente - Omissione - Conseguenze.
L'onere della prova in ordine alla sussistenza o meno dei requisiti di fallibilità di cui all'articolo 1, comma 2, legge fallimentare deve essere assolto mediante la produzione dei libri contabili che l'imprenditore commerciale è obbligato a tenere secondo quanto prescritto dagli articoli 2214 e seguenti c.c., ai quali soltanto la legge attribuisce un particolare valore probatorio, autorizzando il giudice a trarre da essi elementi di prova anche a favore dell'imprenditore. Per quanto riguarda le imprese individuali e la società di persone non tenute al deposito dei bilanci, esse saranno, tuttavia, tenute ad assolvere all'onere probatorio in questione mediante documenti che nella sostanza tengano luogo di veri e propri bilanci redatti in modo da consentire l'accesso a una chiara, trasparente, completa e intellegibile rappresentazione della situazione economica, finanziaria e contabile dell'impresa; in mancanza di detti documenti il giudice potrà liberamente valutare la affidabilità della documentazione prodotta e la sua congruità alla luce di tutte le circostanze del caso. (Franco Benassi) (riproduzione riservata) Tribunale Novara 23 giugno 2011